Un augurio a tutte le crisalidi

Non sono pronta a vedere un altro anno morire così. Non in questo modo, almeno; non a questa velocità, non finire ancora, vorrei gridargli. Ma a chi? Un anno non è che un concetto. E’ come il dialogo interiore. Sia che gridi, sia che bisbigli, ha sempre lo stesso volume. Provateci. Ditemi se riuscite a far cambiare il volume, alla voce nella vostra testa.

E anche i mesi, e i giorni, e gli anni. Puoi gridare, puoi farti vedere, ma loro sono così, insensibili, inafferrabili, privi di sostanza; essi sono essenza, sono fatti della stessa materia di cui sono fatte le nostre parole e i nostri pensieri. Quindi, il Niente. Sinapsi e concetti. La differenza fra la materia e l’idea. La materia oscura che popola le mie riflessioni. E quindi, non mi ascolteranno.

Sembra che qualcuno abbia premuto il pulsante fast forward, per quello che riguarda la vita su questo pianeta.

Quest’anno, il Natale nell’aria non lo si sentiva affatto. Sarà la ineffabilità emozionale che mi caratterizza ultimamente, sarà la mia incapacità di sollevare il velo di Maya che mi affligge di questi tempi. O forse no, è il contrario! Forse è proprio l’eccessiva abilità nel mettere in pratica tale artificio che mi ha impedito di rimanere affascinata dalle luci e dai suonatori di strada. Dovevo mantenere la mia maschera vittoriana, il mio freddo viso da statua neoclassica, senza sorpresa ormai nel compiere abitualmente il gesto di spogliare il mondo del suo guscio colorato, e non vedere più quello che vi è sotto.

E venne la fine dell’anno, e io non seppi dov’ero. Ultimamente, sono sempre più… come l’ovatta intorno a un oggetto delicato. Ma se scavi bene, alla fine scopri che di regali delicati non ce ne sono più, dopo la bambagia. Come il mondo spoglio dal suo guscio, io sono crisalide che simboleggia l’inverno delle epoche a venire; sono crisalide che dorme mentre il tempo scorre, sono crisalide come l’anno vecchio che si accartoccia e muore, mentre quello nuovo ne prende brutalmente il posto. Sì, brutalmente.

Scorre così brutale il flusso dell’esistenza. Tranquillo, silenzioso, logorante. E così, ti ritrovi a pensare a tutte quelle fantastiche opere, a tutte quelle cose che avresti dovuto fare e non hai fatto, a tutto ciò che avresti voluto fare. Non trovo la sottile linea che le separa. Sono tutt’uno, sono ormai parte di qualcosa che se ne sta andando, non so se potranno entrare a far parte del nuovo ciclo che inizia. Alla fine, avevo ragione. Ci ostiniamo a vedere il tempo come un kairòs, una freccia lanciata nello spazio che segue soltanto le regole da noi inventate, quasi come per alleviare il dolore e l’ansia che ci accompagnano verso un futuro mal progettato, facendoci dimenticare cosa sia la vera paura di quello che non possiamo vedere. Ma basta girare lo sguardo un poco più in là, vedere che questo anno non finisce per tutti allo stesso modo e allo stesso tempo, per comprendere appieno la sottigliezza dell’aion che s’accinge, silenzioso, a girare in un nuovo ciclo. Come una mostruosa ruota dentata invisibile.

E quindi, come tante altre crisalidi, mi accingo anche io a vedere passare questa notte, a dire addio a tutti i suoi timori e le sue angosce, con il proposito – con tanti propositi – di vedere qualcosa che cambia. Che, puntualmente, saremo capaci di rispettare?, ci chiederemo. Saremo capaci di innestare nuove visioni sopra un albero maestro che ci conduce a una strada che ancora non abbiamo tracciato? Saremo capaci di salutare finalmente questa enorme, innominabile ansia che ci accompagna come un fido navigatore verso strade che cambiano all’ultimo secondo? Perché è questo che ci sgretola silenziosamente…

Allora… Buon anno a tutte le crisalidi che stanno piano piano provando a uscire dal gelo mentale, e che le vostre paure vengano soffiate via dal vento di un nuovo giro, per vedere finalmente i primi frutti di tanto impegno e tanta speranza.

La metafonia della paranoia (Opera al nero)

Acqua che brucia. Fuoco che non si spegne. Terra che fuma. Vento che pesa come l’età del mondo. Un temporale estivo ha scosso il continente del tempo perduto. Voglio bloccare la mia giovinezza, darle tutto quello che merita, prima, molto prima che giunga il famigerato Comandamento naturale. Qualcosa si è bloccato dentro, come l’Opera quando si stucca al nero, ma non è la cosa giusta; la personificazione dell’impedimento, il corvo in mezzo alla strada. Che senso ha, la vita? Che senso ha, passare gli anni migliori ad arrovellarsi per superare le onde di un mare furioso invocando la clemenza  del Signore delle Acque (in virtù del fatto che sono acqua anche io), raramente vederlo concedersi con le sue languide silhouette molteplici in mezzo alla schiuma, nella speranza di un porto lontano… di un luminoso avvenire… devo ricordarvi che fine ha fatto, la donna che attendeva l’uragano invano? Tanto, questo non arriva mai. E se arriva, o non è come te lo aspettavi, o è già troppo tardi.

Solo fino a poche settimane fa, mi trovavo non molto lontano da dove un uomo ha ricevuto l’illuminazione e ha visto il futuro giorno del giudizio. Laggiù, la mia retroguardia si è un poco abbassata e la buona spiritualità ha potuto entrare attraverso la porta vermiglia. Questo però non ha fatto sì che l’Opera si sbloccasse, né che lo spirito si riscaldasse dal pio raffreddamento che ha subito a causa del tremendo controllo delle strutture mentali. E adesso, di nuovo nel grigio. Se non faccio attenzione, rischio di tornare nel nero verso l’arancione. Guardati dalla luna, e tieniti lontana dalla brughiera. Un’avvertimento che – spero – mi tornerà utile.

Riuscire a spiegarsi tutto in modo da poter ergere barriere efficaci in marmo nero, liquide; una ossessione che conduce a compulsioni passibili di convinzione rasente a quella operata dal tuono e dallo shock. Ultimamente, era difficile persino distinguere i sogni dalla realtà, nella dimensione paranoide di proporzioni messianiche che si andava a delineare come il tunnel spaziale del Sisko, che a volte si vede e a volte no, ingannevole come il velo della nostra amica Maya; e siamo sempre un’ora indietro, nonostante quel che l’orologio infido vuole farci vedere. Ore, orari, tabelle. Mi aggrappo al governo delle formule perfette cercando di sfuggire alla voce della comunità fantasma che abita mio malgrado nel cuore, sapendo benissimo che basta una metafonia per cambiare completamente il significato nonché la biomorfologia del referente. Come d’altronde so bene che quello che chiamo anima non risiede nel cuore, ma nell’interazione di etere sinapsi e rilascio di reagenti. In fondo è solo questione di chimica. E di piccoli segni grafici. Due punti, cambia la visuale del mondo; due punti, non finisce la cortina del dubbio! Così si personalizza l’antagonista del fare, mentre cerco di contrastarlo con il solo mezzo a mia disposizione: l’intelligenza, la luce della mente, la memoria dell’acqua, la vibrazione del fuoco, la coda del pavone.

Published in: on 14 luglio 2013 at 12:09 AM  Lascia un commento  

Il Dottore Donna.

Sono stata un po’ assente, di questi tempi. Assente col corpo, assente con la mente. Probabile che fossi da qualche parte tra Sirio e Antares, mentre mi arrabattavo per far quadrare il cerchio imperfetto i cui angoli dalle geometrie inesistenti nel mondo terrestre comprendono lavoro, studio, soldi che non ci sono e nessun tempo per farmi le unghie.

I miei capelli. Seeeee, come no, magari. Sono un po' più disordinati e con qualche doppia punta.

I miei capelli. Seeeee, come no, magari. Sono un po’ più disordinati e con qualche doppia punta.

Ma le finger-waves nei capelli, beh, quelle sì. Toglietemi tutto, ma non i miei capelli anni ’30.

Virtualmente tuttologa, mi dedicavo a un sacco di invenzioni una più inutile dell’altra, aspettando il giorno in cui l’ispirazione dello Scrittore avrebbe ricominciato a scorrere in me, deformandomi le vene bluastre nel corpo in letargo come un Grande Antico padrone che rinasce un pezzetto alla volta dentro di me, a ogni obiettivo raggiunto e ogni livello che superavo senza usufruire di alcun tutorial. Parlami, e io ti stupirò.

E un altro obiettivo è stato raggiunto, ieri. Ecco perché sono stata un po’ assente: mentre organizzavo una rivoluzione su Sirio B e mi davo da fare per aiutare la gilda dei mercanti su Sirio A, nel frattempo scrivevo una tesi sull’origine neurobiologica della coscienza umana  e davo 3/4 esami, ora non ricordo di preciso, ma ecco spiegata la mia lieve leggerezza dell’essere in questo periodo. Forse, non era altro che un meccanismo semplice di autodifesa mentale, una barriera del , un escamotage brevettato dai miei demoniaci lobi frontali per impedire alla pazzia di prendere il sopravvento.

Ok, allora annuntio vobis gaudium magnum habemus… IL DOTTORE DONNA!!! 

In Psicologia e Comunicazione.

Per chi non è un nerd masticone, sappiate che è una raffinata e acculturata citazione da Doctor Who. Voto finale, un bel 106. Sì. Sì, mi disturba alquanto il fatto che manchino 4 punti e una lode al voto, ma vabbè, vedrò di non trasformarmi in un’idra a 12 teste per questo motivo. In fondo, tra tutte le cose che ho fatto, mi sono riuscita a laureare lavorando e conducendo il Manifesto Italiano del Dieselpunk.

Forza, da adesso in poi, non è altro che una strada in salita costellata di spine e piena di fastidiose buche, senza contare i goblin che mi lanciano i sassi dal cavalcavia. Poi, finalmente sarò un Dottore di Ricerca. O tutto quello che vorrò. Il Dottore Donna, eh, gran cosa.

Chissà che ne direbbe il vecchio Jack (Harkness).

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Audentes Fortuna Iuvat

Nel silenzio che mi avvolge, nella penombra in cui mi crogiolo come il corpo del povero Simone ne “Il signore delle mosche” tra le acque al chiaror di luna, mi rendo conto che manca poco al coronarsi di un grande sogno.

Il mio futuro primo ministro

Il mio futuro primo ministro

Il sapere che tutto questo è stato costruito con le mie mani mi riempie d’orgoglio, mi fa sentire la divinità che ho dentro e il genio ribelle che bussa timido perché sa che, se lo facessi uscire, ribalterei il mondo fondando un nuovo Impero d’Occidente governato da Tecno-preti o sovvertendo l’idea di coscienziosità con quella di competenza. Per il momento, mi limito a incendiare con lo sguardo gli sventurati insetti che mi entrano in casa. (Inciso: come mai proprio qui, a Milano, in piena città e in pieno traffico, debbono esserci simili creature che paiono progenie infernale? Sembra di stare nella giungla del Borneo, mannaggia  a loro.)

Dicevo, proprio oggi ho aggiunto un altro traguardo al mio progetto di vita, achievement unlocked | New nerd-bonus score acquired! Sì, la sensazione è proprio quella di stare sbloccando un lato del gioco che sino ad ora mi mancava di vedere, il lato del controllo, lo schema senza mirino guidato; lo schema dove controllo io.

E il controllo, miei cari, deriva dalla competenza. E dalle azioni. Anzi, lo riformulo meglio: la competenza, che trova il suo substrato costitutivo nell’attitudine, viene catalizzata dalle azioni intraprese e dal contesto per trasformarsi poi in competenza; da qui, il controllo. Non bisogna dimenticare, però, che è tutta una questione di soggettività. Del sentire unico e irripetibile, interno. Come si sente il pipistrello, a essere un pipistrello? Bene, io credo, quando sa che può controllare il proprio ambiente grazie ai suoi ultrasuoni. E chissà cosa significa per lui sentire di saper usare in maniera competente i suoi ultrasuoni; chissà se sente qualcosa di simile all’orgoglio, dopo aver sperimentato il controllo soggettivo, la conoscenza della causa-effetto, e aver capito che la causa-effetto è un semplice paradigma perché è tutto un sistema, è tutto un’ecologia, la causa e l’effetto si rincorrono senza fine e si tangono l’un l’altro nel nostro Eden fatto di cemento e led luminosi. Causalità circolare, this is the way. Anzi, non c’è one best way. E quando capiremo come si sente il pipistrello, capiremo noi stessi.

Non esistono strategie universali, niente training autogeno, niente best way. Esiste una persona, azioni, processi e coscienza. Il tutto, indivisibile. Quella persona sono io, nel mio piccolo angolo dove fa freddo ma il cuore è caldo. E sono inscindibile da esso, dal mio contesto. Benché non sia una persona superstiziosa – sono uno scienziato a tempo parziale e un filosofo a tempo perso che ama trascendere il qui e ora, non un credente – oggi ho capito che, fondamentalmente, al contesto e alle esperienze bisogna aggiungere una cosa. L’audacia. Perché quella catalizza la “fortuna”, o se preferite, la casualità – che è meno perfettamente bilanciata di quanto la mente umana pensi. Sapete? Abbiamo un’innata tendenza a sovrastimare le caratteristiche di alternanza nella casualità, trovandola nella sequenza la cui quantità di regolarità eccede la definizione stessa di caso; che alla fin fine è un modo arzigogolato di definire il credere nel Karma. Che ci crediate o no, la mia fortuna è l’entropia! E ho notato che correla positivamente con l’audacia. Attenzione, è relazione correlata, non causale. Confondere la correlazione con la causalità può essere fatale alla nostra già scarsa capacità di insight media, figuriamoci confondere causalità e casualità!

Entropia, casualità e sfiga.

Avevo promesso di ridefinire il mio progetto di vita, ma ecco – basta che io mi riposi un attimo, che mi distenda i nervi e le rotelle, che mi abbandoni all’entropia per qualche ora – e bam, la sera arriva senza che io me ne accorga.  E mi fa sentire di nuovo trascinata, di nuovo senza il controllo soggettivo, che se manca a un fanatico analitico (è una definizione ancora non ufficiale, ok?) come me, rischia di farlo uscire di testa!

Non ho una direzione, al momento, se non quella del mio cogitare continuo. Sapete, studiare le basi biologiche e il funzionamento della coscienza umana ti rende un po’ così. Un po’… incapace di guardarti allo specchio senza pensare “Rieccomi, mi vedo. Ma che bel visetto bianco. Chissà cosa si nasconde dietro quella fronte liscia, io ti troverò!”

Massì, come diceva il Winckelmann, la nobile semplicità e la quieta grandezza delle statue neoclassiche; sarò così d’ora in avanti, tacerò pensando a quanto fa paura il silenzio a chi non vi è abituato. E penserò –  non so bene a cosa, ma penserò. Audentes Fortuna Iuvat, dicevano, e da oggi in avanti sarà la seconda costante del mio progetto di vita. La prima, è una frase che scrissi a 12 anni e ancora mi porto dietro come lezione di vita.

Buonanotte, miei cari, passate una buona serata, e che sia produttiva o rilassante, ma piena di controllo e di cose che vi fanno felici.

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“The Tiger” – Strano sogno numero… uhm, ho perso il conto.

Oggi, appena tornata a casa dopo il primo di questa serie di 2 esami uno dopo l’altro (ho preso un bel 30 ^_^ – e si lo so, è da un po’ che manco su WordPress, ma quando mi capitano questi periodi è così) – mi sono addormentata, per un’ora o poco più, e ho avuto uno strano sogno.

Ho sognato una tigre gigantesca, alta quanto un palazzo, che aveva multiple teste e zampe (come gli dei Hindu) che parlava. Parlava… beh, “mentalmente”. Dei suoi amati cuccioli, e di altre cose dal profondo dello spazio che non posso ricordare qui nella mia forma materiale, ma so essere profondissime.

Hindu tiger goddess by mariecannabis.deviantart.com/

Hindu tiger goddess by mariecannabis.deviantart.com/

Dava un gran senso di forza, spero che gli dei Hindu siano con me in questo momento, un momento difficile… un momento in cui perdo il conto di tutte le cose.

  • Quindi, questa è la mia preghiera per la Tigre: “Possa la tua forza essere con me, e la tua coscienziosa consapevolezza aiutarmi a sconfiggere i miei istinti ferali e la mia ansia.”